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“BAD TEACHER? NO, DI PIU’… UNA VERA ARPIA!!!”

AAA…Insegnanti sordi, muti e ciechi cercasi per questa nuova generazione di studenti alla deriva! Ormai a sentir parlare di scuola viene a tutti l’orticaria (soprattutto agli insegnanti) eppure su questo luogo tanto odiato non si può fare a meno di dire qualcosa…almeno per farci una risata! Immaginatelo allora come una sorta di circo per funamboli nel quale troverete equilibristi ubriachi che camminano su corde sospese, sputafuoco con la tonsillite e medium dalle scarse doti medianiche. Ne volete un esempio?
Nella mia breve esperienza da insegnante precaria (‘nsomma, sono quasi 10 anni ormai) ho visto abbastanza “cionnezze” (dalla mie parti significa “storture, brutture”) da poterci riempire pagine e pagine di un romanzo, altro che un articolo solo! Ma ci hanno già pensato altri colleghi come Domenico Starnone ( che mi ringrazierà come il prof. Giacobbe per la pubblicità) che mi è stato di grande ispirazione. Tant’è che leggendo i suoi romanzi dedicati alla scuola mi sono sentita meno sola e soprattutto meno disperata. Perchè disperazione, di fatto, è l’emozione che più di frequente mi assale quando entro in quegli antri demoniaci (le aule) abitati da creature malefiche (gli studenti) e da esseri soprannaturali dagli oscuri poteri (i colleghi) guidati a loro volta da un negromante mutaforma che divora coloro che disobbediscono (il dirigente scolastico). La scuola è diventata insomma un vero labirinto del fauno nel quale barcamenarsi come Teseo alla volta del Minotauro. Quindi non fate come me durante quest’ultimo anno scolastico, a meno che non vogliate vincere il premio di un mese per un resort di Igiene mentale. 
Ma andiamo per gradi. 
Cosa è successo? Presto detto. Il mio ultimo incarico mi ha portata un bel po’ di chilometri lontano da casa, quindi sveglia quasi ogni mattina alle 5 per essere in aula alle 8 in punto; possibilmente anche prima delle 8! (per me la giornata, quella vera, quella nella quale so come mi chiamo inizia intorno alle 10). Nonostante la stanchezza ho mantenuto alto l’entusiasmo (come il gomito che ho dovuto alzare man mano che passavano i giorni) e la buona volontà non mi ha quasi mai abbandonata (almeno non prima di due settimane). Poi qualcosa è cambiato. E quando qualcosa cambia è sempre in peggio! (Legge di Murphy docet). Le piccole creature malefiche che il vicepreside si ostinava a chiamare “angioletti” hanno in quest’ordine: sfondato una parete (di cartongesso, perchè se era in muratura volevo vederli) a gomitate, forato una porta a mo’ di ingresso basculante per il gatto per poi fotografare il loro sedere nell’atto di attraversarlo a quattro zampe, giocato al suicidio in piedi sulla finestra (dal secondo piano) e dulcis in fundo sminuzzato in mille pezzettini il crocifisso (gesto per il quale ho avuto molto da ridire in quanto bene di proprietà della scuola). Non contenti di vedermi deteriorata giorno dopo giorno come un vecchio tappeto sbattuto alla finestra (ho perso il conto delle cefalee tensive, raucedini, tonsilliti e contusioni alla mano a causa delle sganassate date sulla cattedra per richiamarli all’ordine) alla fine dell’anno, quando ero ormai pronta a prendermi la mia rivincita, ho assistito a veri e propri atti di corruzione. Ah, e che corruzione!!! Per ottenere una promozione mi sono state offerte 10 euro, una pecora, una mucca, un cane, più gatti, pane fatto in casa per un mese, frutta di stagione biologica e un viaggio tutto spesato. Non male vero? Ovviamente il negromante di cui parlavo sopra era al corrente di questa inusuale situazione e da bravo direttore del circo ha deciso di porvi rimedio. Sì, ma a modo suo! 
Al termine del primo quadrimestre lo vedo scorrere i miei voti con aria concentrata…molto concentrata… troppo concentrata. Insomma, so numeri! Non c’è molto da capire. Il consiglio di classe sta con il fiato sospeso, i colleghi di diritto e inglese si guardano negli occhi preoccupati, altri fingono distrazione, altri ancora fanno le parole crociate. Pare che dopo tante corali lamentele alla fine gli unici ad aver avuto il coraggio di mettere così tante insufficienze siamo solo io e il collega di chimica… che è assente (un improvviso colpo della strega, guarda tu)! Dopo lunghissimi minuti di silenzio durante i quali avrei potuto compilare il verbale della seduta giornaliera, portarmi avanti con le tracce per il giorno dopo e prendere anche un caffè tra una cosa e l’altra, vedo il Preside scuotere il suo grosso capoccione pelato e farsi viola in viso: “Non ci siamo, no no no”. 
Ma va? Con un’espressione complice dico: “In effetti, direi proprio di no. Bisogna prendere provvedimenti”. 
Le mie parole hanno una strana eco nella stanza e l’aria si fa improvvisamente pesante. Tutti smettono di respirare. Mi inizio a preoccupare. Perchè nessuno dice nulla? Eppure stanno sempre tutti a lamentarsi, per la miseria. Nei corridoi pare ci sia un costante mercato del primo di ogni mese (urla, insulti e compagnia bella) e adesso nessuno che si lamenta? Solo io protesto? Io, e con il pensiero, quel furbone del collega assente.
“Professoressa…” Sento tuonare all’improvviso mentre i fogli si agitano nelle mani del Preside come in preda a convulsione.
“Sì?”, mi limito a dire mentre prendo le misure e capisco se è il caso di arretrare di qualche passo.
“Lei è tropp’ sever… Non ha la giusta sensibbilità”. 
(Non ho perso delle vocali e acquistato delle consonanti. E’ che il preside preferisce parlare in dialetto. Così, giusto per dare l’esempio a docenti ed alunni)
“Dev’ ess più buona…”. Insiste col dire.
Azz…pure?
“La sua relazione descriv’ una situazione terribbile, disastros’, ingestibbile (e sottolineo di esserci andata leggera con gli aggettivi – e di averli scritti correttamente sulla relazione -proprio per mitigare la realtà da giungla che vivo quotidianamente). Ma è mai possibbile che dei giovan’ siano in grad’ di fare quello che dic’?”
Immaginate a questo punto la mia faccia: la stessa espressione della Belle Ferronnière di Leonardo da Vinci. Nella testa mi ripeto: “Eh no, questo non ci fa. Dice sul serio…brutto segno”.
“Tu dev’ ess più compassionevole…”. 
L’improvvisa virata dal “Lei” al “Tu” è pure brutto segno. 
“Preside, con tutto rispetto, qua c’è poco da essere compassionevoli. Ho a che fare con dei selvaggi. Sono refrattari ad ogni forma di rimprovero, non ascoltano, non seguono….NON STUDIANO. Cos’altro dovrei fare? Sono qui per questo o sbaglio?”.
” E vuol dì ca tu non li stimoli abbastanza!” 
Che certo. Dovrei collegare ciascuna sedia ad un taser e all’occorrenza dare loro la scossa. Questo sarebbe un ottimo modo per stimolarli, naturalmente avendoli prima legati.
“Mo’ (al Sud significa “adesso”) ved’ di alzare sti voti. Forz’ aggiustali nu poc”…
Interpretai quest’ultima richiesta come la possibilità di abbassare il livello di conoscenze e competenze valutabili nel successivo quadrimestre, così da aiutare almeno i meno “selvatici” ad ottenere la sufficienza. Invece, capii dagli sguardi dei miei stimati colleghi che la richiesta prevedeva una modifica seduta stante.
Ecco, la mia espressione adesso poteva essere paragonata al notissimo Urlo di Munch. 
No, ma dico, siete impazziti tutti???
Ovviamente, seduta stante, mi rifiuto. Aggrotto la fronte come solo io so fare (praticamente come uno Shar Pei) e incrociando le braccia sul petto sentenzio: “Chi se lo meriterà, a fine anno”.
Come si è conclusa la seduta è presto detto. La faccia del Preside ha assunto varie colorazioni: dal viola bordato di giallo al verde prato bagnato fino al rosso vivo sfumato di viola da incendio chimico. Alla fine si è tranquillizzato con un vago rosaceo da couperose. L’accordo ha previsto che io arrotondassi le insufficienze gravissime e dessi più possibilità alle insufficienze meno gravi (i 4 per capirci). Di ogni forma di insubordinazione avrei poi dovuto immediatamente avvertirlo (come se non lo avessi mai fatto prima).
Concludiamo il consiglio con facce peste, spalle curve, e tanta voglia di tornare a casa a mangiare la lasagna per molti dei miei colleghi. Qualcuno di questi ultimi mi ha infatti salutata dicendo: “Ma non possiamo ogni volta fare queste storie, ma che metti 6 e facciamo prima. Per favore collega, non perdiamo tutto sto tempo la prossima volta ok?”.
Ma naturale. Ma ci mancherebbe. 
E così, nel finto appoggio dei miei colleghi e con le distratte attenzioni del dirigente scolastico un altro anno si è concluso. 
Conteggio finale delle vittime di guerra: 7 in una classe, 2 in un’altra. Conteggio reale preventivato a monte: 12 in una classe, 15 nell’altra.
Raccomandazione finale del comandante in carica: “Professoressa, scegl’ n’altra scuola il prossimo anno. Auguri e tanta fortuna!”
Ecco, alla fine – come sempre – vai a far del bene.

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