About me

Il mio outing da blogger

Non ci crederete, ma ad un blog come questo non avevo mai pensato prima…

Saggi brevi, romanzi storici, articoli di viaggio che descrivono le cose più strambe sì, ma un blog di lifestyle che ogni tanto prova a parlare di cinema, libri e pure di moda proprio no.

Sarò una feticista delle belle lettere, ma mai avrei pensato di provare un tale piacere nel parlare di quotidianità…E che quotidianità! Immagino si tratti di una tardiva rimembranza della rubrica di Carrie Bradshaw di Sex&City, chi può dirlo? 
Ad ogni modo approdo in questo mondo pensando alle tante follie che mi sono capitate, mi capitano, e figurati se non ricapiteranno…E giusto a tal proposito inizierei a parlare di coincidenze cosmiche…chiamiamole così. 


Cosa mi è capitato solo ieri? 
Salvo piangere sul mio tristissimo piatto di riso in bianco guarnito con una carota bollita, un sedano e tanta voglia di non mettere su peso, ricevo una telefonata dal servizio sanitario locale. Felice l’operatore mi conferma che la mia visita è prenotata per il giorno dopo. Con nonchalance rispondo, “Certamente, grazie mille” e chiudo dicendo a mia madre “Tutto a posto per domattina mamy. L’intervento è ok”. 
La mia santa madre, destinataria del servizio in questione, a quel punto dice: “E perchè mai lo avrebbero ricordato a te?” 
Giustamente, è lei la poverina che deve operarsi, mica io. Perchè hanno chiamato me? Chi gli ha dato il mio numero?
Richiamo per chiarimenti. Risposta: “Sì sì, la visita è prenotata al reparto di infettivologia per la sua cardiopatia ischemica”. 
Mi casca la mandibola. “Ma io non ho nessuna cardiopatia, scusi”. 
“Se lei è chi dice di essere e il suo medico curante è quello che lei mi dice che sia allora è grave”…
‘appero se è grave. Potrei avere un’infezione al mio debole cuore e manco saperlo…
Metto da parte broccoletti e vegetali annessi e continuo la mia indagine. Mi passano il responsabile che continua a sostenere che la malata con poco tempo di vita rimasta sono io. Incredibile, due persone che non conosco sanno che sto per morire ma io no! Il malato è sempre l’ultimo a saperlo.

“Senta, ma c’è possibilità che mi salvi?”, domando ironica per stemperare il clima da guerra fredda telefonica.

La responsabile mi risponde seria: “Eh, cara ragazza chi può dirlo? Siamo tutti nelle mani di Dio”. Giustamente. Quindi riattacco, non senza aver ringraziato per le profetiche parole di conforto, saluto i miei vegetali con la promessa di tornare subito e scendo dal mio medico. Sì, scendo. Perchè dalle mie parti è usanza trovarsi il medico nel proprio quartiere, nella propria via, possibilmente nello stesso palazzo, come nel mio caso. E vista la situazione, questa mi sembra la cosa più saggia che abbia mai fatto: metti che mi coglie un infarto nelle scale…

Sulla porta trovo la classica fila da supermercato, con tanto di eliminacode. Madre mia, sono la 29esima ed è appena entrata la numero 4. Mi guardo un po’ attorno, scruto gli sguardi da revenant dei pazienti e rimpicciolendomi chiedo: “Gentilmente, chi è il prossimo?”. Risponde un signore calvo e smilzo che dice: “Perchè lo vuoi sapere?”. Pare l’incipit di “Mezzogiorno di fuoco”, ma conosco l’ambiente e sono pronta a tutto pur di tornare su in casa e finire il mio riso.
“C’è stato un errore con una richiesta medica, dovrei solo lasciare questi dati alla dottoressa”.
“Fai la fila e glieli lasci”.
Certo, sto cercando di risalire al giusto destinatario di un’importante visita al reparto infettivo e per farlo dovrei aspettare 25 persone in sala d’attesa? Con il riso che mi si fredda? Ma siamo matti?
“No, guardi. Non è una ricetta per me. C’è stato un errore, qualcuno rischia di perdere la sua prenotazione in ospedale, ma non sono io. Devo solo comunicarlo al medico. Ci impiegherei 1 minuto al massimo, credo”.
“Credi, ma non lo sai”.
Il tono del mio interlocutore si fa sempre più saccente e io inizio a spazientirmi. “Potrei chiedere al signore dopo di lei se gentilmente posso entrare un attimo”.
Lo smilzo si guarda intorno girando solo gli occhi, lo fissano tutti con aria di rimprovero come a dire: “E che è, non fai passare una gentile ed affabile ragazza (‘nsomma, ragazza) per una cosa da un minuto? Vergogna”. 
Mi minaccia con lo sguardo e dice: “Che sia un minuto”. Il tono è lo stesso che avrebbe usato Sauron ne “Il signore degli anelli”, ma lo ignoro e con un sorriso alla Betty Boop mi faccio avanti appena esce l’ultimo paziente dallo studio.

Trovo la mia dottoressa in abiti civili: giacca rosa, canotta bianca, scarpe Gimmy Choo. Carine, bel modello! La saluto, lei fa lo stesso: “Ciaaaaaao….Bella!” 
Non si ricorda il mio nome, quando mai. E’ vero che non ci vediamo da quasi un anno, però a dicembre mi sono fratturata un dito. Se lo ricorderà? Questa faccia contrita dal dolore, il tutore, il dito ormai irrimediabilmente compromesso? Macchè…
Le spiego rapidissimamente la situazione, quasi sudando. Ho l’ansia che lo smilzo mi uccida. Guardo l’orologio mentre i secondi scorrono inesorabili.
“Tesoro, non è possibile questo errore. Non posso aver fatto ad un altro una ricetta a nome tuo”.
Ah, no? Eppure così è…
“Senti, ma sei sicura di essere mia paziente? No, perchè qui non risulti proprio”.
Ah, pure? Quindi oltre ad avere una cardiopatia ischemica adesso scopro di soffrire anche di qualche malattia neurologica o psichiatrica. Che sarà? Schizofrenia, demenza degenerativa? Ah, no potrebbe essere l’effetto del tè nero addizionato con LSD che ho provato lo scorso inverno…

Mentre agito le mani per trovare una via di fuga ( le scrivo velocemente il mio nome e numero di telefono su un foglietto) squilla il cellulare. Implacabile il trillo del telefono prolunga il mio tempo… All’orecchio giungono voci di protesta dalla sala d’attesa. Ecco, devo prepararmi al linciaggio collettivo.
La Doc parla, parla, parla. Io faccio segno che vado via. Che poi mi richiama. Lei agita le mani nervosa: “Statti qua, vai troppo di fretta. Aspetta”, mi urla interrompendo la telefonata.
Ma mi ammazzano, le dico indicando la porta.
Niente, non riesco ad andare via. Dopo 5 minuti che ormai hanno segnato la mia fine, esco disperata e afflitta, pronta alla sentenza di impiccagione. Attraverso la sala d’attesa evitando gli sguardi cupi dei presenti e sulla porta mi ritrovo di fronte lo smilto.
“Sono passati 6 minuti e mezzo”.
Eeeeeeh, una vita…E mamma mia!
“E’ stato gentilissimo. Mi scusi tanto. La Dottoressa…”
“Non mi interessa di niente…”
Il tono è minaccioso, troppo.
“Senta mi dispiace, è squillato il telefono ok? Non è colpa mia”.
La Doc urla dallo studio: “Il prossimo. Ho detto il prossimo”.
“Vada, è il suo turno”. E nel frattempo non si muove.
“Adesso vieni con me, e gli dici alla Dottoressa cosa hai fatto”.
Uh, madre. E che ho fatto? Ho infettato di gentilezza tutto lo studio?
Provo a bypassarlo. Mi sposto di lato. Non mi fa passare. Temo per la mia incolumità, ma rammento subito le garze e i cerotti nello studio. Se arriviamo alle mani ci sarà il modo per suturare le ferite? Esce la Dottoressa: “E allora? Chi è il prossimo?” Lo smilzo cambia subito espressione: da Death man walking a James Franco. La metamorfosi mi lascia allibita. Se ne va senza aggiungere altro e io tiro un sospiro di sollievo. Una paziente anziana mi trattiene per la manica prima che io esca: “Meno male figlia mia, che quell’ è pacc…”. Aaaaaah, ci mancava che beccassi il malato di mente!
Incredula rifaccio le scale di casa e torno da mia madre. 
“Tutto a posto?” mi domanda. 
“Certamente, domani cambio medico.” 
“Ah!”.
“Senti, ma il mio riso?”.
“Si era freddato. Fatti un panino”.

Ecco qua, alla fine dei conti vai a far del bene!😑

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *