Selfhelp

Quelli che… a me lo psicologo non serve!

Vi ho già detto che ho un ottimo rapporto con la psicanalisi e le terapie di selfhelp? Credo di sì. In tutta la mia breve vita (‘nsomma, i trenta sono sfumati) ho già letto una miriade di libri sull’argomento, fomentata tra l’altro dalla mia amica Lucy che di mestiere fa la counselor. Che fortuna sfacciata, vero? Quante di voi possono vantare un’amica tanto speciale? Penso poche. Mentre io sono fortunatissima (complice un karma favorevole) perchè ho un aiuto per ognuna delle mie problematiche: allo stress, le fissazioni e gli incubi notturni ci pensa Lucy, mentre per la dieta e il mio insopprimibile bisogno di controllare il peso ci pensa la Ste’, la mia amica nutrizionista. Noi tre insieme siamo proprio una squadra vincente. La counselor, la dietista e la personal trainer! Se ci penso, potremmo aiutare un sacco di persone affidandoci alle nostre professionalità. Ma nel frattempo evitiamo. Non vorremmo far danni! 

Tornando alla psicanalisi. Mi sono interessata all’argomento credo intorno ai 9 anni, quando mio padre una mattina d’inverno accompagnandomi a scuola disse: “Ora sei grande, assumiti le tue responsabilità e prenditi cura di tua madre. Io me ne vado!”. Mi è parso un giusto momento per iniziare ad interrogarmi sulla vita, sulle relazioni, sull’amore in generale e soprattutto sulla mia salute mentale che non nego, al tempo ebbe un discreto scossone.
Ad ogni modo devo ringraziarlo perchè è solo merito suo se adesso posso dirmi una discreta conoscitrice della teoria dell’attaccamento di Bowlby e della relativa elaborazione del distacco secondo Holmes e Rahe. Naturale a questo punto, direte voi, sarebbe stato diventare una psicoterapeuta. E invece no, ho preferito studiare lettere antiche… così, giusto per affogare la faccia in libri vecchi millenni e tenere uno sguardo fisso sul passato e meno sul futuro. Perchè, da buona pessimista, per quest’ultimo non v’è certezza! 
Ma la vera svolta è arrivata con i manuali di selfhelp del Prof.Giacobbe (che ringrazio e spero mi ringrazierà per la pubblicità che gli faccio) i quali hanno rappresentato una sorta di Secret Window sul mio passato (sperando che non mi capiti mai quello che è accaduto a Johnny Depp nel film omonimo). 

Devo confessare che di tanto in tanto, quando mi sforzo di scavare nei tempi andati (tipo la domenica pomeriggio quando tutti guardano la partita mentre io odio il calcio) mi capita di provare un certo timore perchè non vorrei che a forza di scavare si inizi a rompere qualche tubatura. No perchè, tanto male non mi pare di stare. Ma tutti mi dicono: “C’è sempre qualcosa che non va in ognuno di noi. Dobbiamo scoprirlo altrimenti non staremo mai bene”. Allo stato attuale non credo di avere molti problemi. Insomma, un po’ d’ansia ce l’ho quando inizia un nuovo anno scolastico ( sì, perchè a tempo perso faccio l’insegnante precaria), qualche crisi glicemica che mi trasforma di un licantropo affamato di zuccheri (magari è un disturbo metabolico, indagherò) e qualche crisi di rabbia incontrollata che mi trasmuta in Michael Douglas in “Un giorno di ordinaria follia”. Ma è davvero così grave? A chi non è mai capitato di voler rompere il parabrezza (e anche un’altra cosa) al tizio che ti sorpassa a destra mentre il limite di velocità è 50 e c’è l’autovelox? Oppure di graffiare la fiancata del gentiluomo che per far scendere la sua bella fidanzata nell’outlet in centro parcheggia in terza fila e pensa di cavarsela lasciando accese le quattro frecce? Mi sembrano situazioni di ordinaria…quotidianità! Per nulla sintomo di problematiche più gravi ma soprattutto più profonde. Un po’ di rabbia è sintomo di vitalità, di fervore, di pathos emotivo. Giusto?

Comunque, io non sono mai stata una che si tira indietro quindi, complice la mia smodata curiosità, ho deciso di scavare negli angoli più bui della mia anima. La mia amica, per aiutarmi in questa indagine mi ha detto: “Immagina che la tua mente sia come una grande soffitta”. 
Fatto! 
“Immagina che sia colma di scatole e che su ognuna di esse ci sia scritto qualcosa”. 
Fatto anche questo! 

“Ora immagina di afferrare una scatola sulla quale c’è scritto Giochi dell’infanzia…”.


 
Eccallà! 
Mi aspetto già il peggio. Le domando: “E cosa dovrei trovarci, Cicciobello?”. Mi risponde: ” E no. E’ una falsa etichetta, probabilmente ci troverai ricordi tristi e angoscianti, oggetti che causano dolore. E’ il ricordo di qualcosa che ti fa soffrire”. Madre mia, e che sarà mai? Mi torna di nuovo in mente Jack Nicholson in “Shinning” che sembra mio padre…
Entro in crisi, inizio a dubitare della mia sanità mentale. E se ci fosse qualche pensiero rimosso? Qualcosa di terribile che ho accantonato in una di queste tante scatole per non sentire dolore, mentre qualcosa dentro mi devasta senza che io me ne renda conto? Mi sento una pazza che non sa di esserlo. Un po’ come per la vicenda della cardiopatia ischemica (ricordate?)…Allora mi domando, cosa penseranno le persone quando mi parlano: che sono pazza ma fingo di comportarmi da persona normale? E i miei studenti? Dipenderà forse da questo il soprannome di “strega” e non dalla long list di voti che variano dal 3 al 4, massimo 5? 
Sento già il bisogno di essere ricoverata nel più vicino reparto psichiatrico. Sento Jack Nicholson che si avvicina alle mie spalle con l’ascia e dice:

“Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Sono il lupo cattivoooo…

Ho un brutto, bruttissimo presentimento. I miei esercizi di respirazione non sono più efficaci. Mi sento uno nodo alla gola e non credo sia tonsillite ( le tonsille non le ho più). Non può che essere una somatizzazione. Ma devo stare tranquilla. Provare a rilassarmi ed essere fiduciosa. A breve, quando meno me lo aspetto (così mi dicono funzioni), mi si aprirà un varco nella mente e capirò tutto. Il contenuto rimosso tornerà alla luce e tutto mi sarà chiaro. Questa constatazione mi dà speranza, finalmente avrò una vita normale come tutte le altre persone (quelle normali per davvero) e starò bene. Starò bene!
Mi coglie solo un dubbio e con sguardo triste chiedo alla mia amica: “E se in questa scatola ci fossero davvero i Giochi dell’infanzia? Lo so, è difficile, terribilmente difficile ma potrebbero esserci seppur pochi dei ricordi positivi , non soltanto tragici contenuti rimossi in qualche angolo della mente?”.
La vedo abbassare lo sguardo e congiungere le mani in grembo. Lo so, lo so. Non c’è speranza che si tratti di qualcosa di buono. Devo accettare il problema e affrontarlo. Nel frattempo la mia amica apre inaspettatamente le mani e mentre io mi copro il volto per la disperazione lei mi dice: “Ah bè, potrebbe anche essere. Quella della scatola era una mia idea. Mica è detto che sia davvero così”. 
“Come scusa?”. 
“Eh, non posso mica sapere se è davvero così. La psicologia non è mica una scienza esatta. Dai, usciamo a prenderci da bere. Vedrai che con un bel cocktail passa tutto!”.
E in un attimo si apre quel varco nella mente che fa sparire tutte le mie somatizzazioni! Insomma ho capito una cosa proprio quando meno me lo aspettavo: i problemi ce li inventiamo.
Quindi beveteci su, ragazzi. Che è meglio! 😏

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