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E poi non dite che non ho il tatuaggio!

Essendo un’assidua frequentatrice di palestre, saune e bagni turchi, capita spesso di trovare qualche bel turco napoletano beatamente spiaggiato in questi loci amoeni, avvolto in certi casi da un costume semiadamitico o un morbido asciugamano lavato con Perlana. Avete presente? Immagino di sì. Sono sicura che voi signore avete già visualizzato il suddetto maschio alfa pavoneggiarsi per la propria prestanza fisica e ammiccare in maniera velata non appena una qualche ragazza appare dalla nebbia della Val Padana che di solito infesta questi centri benessere.
Lo state visualizzando il nostro adone, con lo sguardo magnetico alla Paul Newman, l’aplomb di Sean Connery e l’inimitabile eleganza di Alain Delon, bello e maledetto come nessuno prima di lui? Sì???

E invece no, perché il maschio del 21esimo secolo tendenzialmente è più beta che alfa e di solito indossa pantaloncini tirati fin sulla coscia, con il pettorale strizzato in un corpettino in tessuto tecnico tipo Roberto Bolle (ecco, appunto) e la t-shirt arrotolata fin sopra la clavicola per far spazio al bicipite rigoglioso. Forse adesso, nella sua veste narcisistica ed egocentrica, lo riconoscete di più!
A questa immagina, decisamente più veritiera della prima, va aggiunto un dettaglio non da poco che assolutamente un tempo avremmo scorto solo in situazioni molto intime e che invece al giorno d’oggi viene evidenziato come un richiamo d’amore. Un po’ come fanno gli animali quando si corteggiano. Oggi, non va più di moda l’occhio languido, l’atteggiamento galante e un po’ di sana spavalderia. No. La prima cosa da mettere in evidenza è: il tatuaggio!
Ora, a meno che il soggetto in questione non sia tatuato tipo Dwayne Johnson o Jason Momoa ( e la maggior parte lo sono) cioè su mani, avambracci, pettorale (e dio solo sa in quale altro posto) di solito è necessario scoprirsi un po’ di più per farlo notare. 
Piuttosto bisogna capire se ne vale davvero la pena, perché a ben guardare a volte pare che il tatuatore abbia giocato con la coloreria italiana…Vediamo infatti immagini che si sovrappongono, colori che si sfumano l’uno nell’altro, strani geroglifici che ricordano il linguaggio dei Predator nel film omonimo.
Ok, le mie amiche mi fanno spesso presente che orami tatuarsi è uno status symbol che non designa più come un tempo una condizione sociale disagiata bensì il contrario. Farsi un tatuaggio costa molto, dunque se ne hai più di qualcuno vuol dire che puoi permettertelo.

“Sì, ho capito ragazze. Ditemi pure quello che volete, ma quando ne vedo uno a me continuano a venire in mente i campi di concentramento. Guardate, ad esser buona, potrei pensare a San Vittore o Poggioreale. E se vogliamo strafare anche alla Yakuza giapponese. Quindi fate voi!”
“Mamma, quanto sei antiquata. Ancora legata a queste immagini ataviche”, dice la Lu’.
“Sì, può anche darsi. Ma per me segnarsi il corpo è illogico. Parliamo di un’usanza tribale risalente al 5000 a.C.”.
“Ma perché tu non capisci niente. Hai la testa nei libri di storia… Pensa ad Angelina Jolie. Ti pare che stia male con tutti i tatuaggi che ha?”
“A dire il vero no. Ma che io ricordi in tutti i film nei quali ha recitato, salvo uno (Salt), glieli hanno coperti con strati e strati di make up. Vedete voi.”
“E vabbè, ma comunque rimani antica. Diresti mai che Johnny Deep sta male tatuato?”

“Eeeeh, stesso discorso anche per lui. Ho scoperto dei suoi tatuaggi sugli avambracci solo quando faceva il figo nella pubblicità di Dior. Altrimenti tutti coperti”.
“Aaaah, è vero. Quando spala meravigliosamente nel deserto…”, aggiunge la Stè sognante e vagamente distratta.
“Eh sì, meravigliosamente…E giusto lì aveva proprio l’aria del malavitoso che sta per liberarsi di un cadavere.”, concludo io.

Insomma, le mie amiche ci hanno rinunciato. Purtroppo ho qualche difficoltà a trovare attraente questa (antica) nuova moda, nonostante un po’ tutti si sforzino di giustificarla. La scusa più usata, quella che dovrebbe restituire al tatuaggio una certa dignità, è la seguente: “Ha un significato molto importante per me”, mi disse una volta la ragazza che lavora alla reception in palestra.
“Ah, sì? E quale?”
“L’ho fatto dopo la morte del mio gatto. Frufru. Ora lo porto sempre con me”.
“Aaaaah…Capisco”.

In realtà ho cercato di capire per davvero. E casualmente, recandomi in un nuovo bar aperto in città che si chiama Buddha Bar, e scorgendo sugli avambracci poderosi del barman alcuni riferimenti a dei miti indù, ne ho subito approfittato per attaccar bottone sfoggiando le mie conoscenze sull’argomento.
“Wow, ma quello che hai tatuato lì è Ganesha? Fantastico. Sei induista?”.
E il tipo. “Eeeeh, si. Mi piacciono i tatuaggi”.
“Ah, figo. Quindi il dio elefante come mai lo hai scelto?”
“Eeeeh, mi piacciono i tatuaggi”.
Vabbè, ho capito. Il ragazzo ha un vocabolario parecchio limitato. Meglio non infierire oltre! E dire che volevo complimentarmi per il disegno sul pettorale che arrivato sul collo finiva con la scritta Carpediem. Chissà cosa mi avrebbe detto al riguardo? Credo: “Mi piacciono i tatuaggi”.

Di fatto ho notato che la maggior parte di quelli che ne fanno uso, di solito non hanno la benché minima idea di cosa si stiano imprimendo a fuoco sul corpo. Compreso l’ex fidanzato di mia cugina che, ahimè, temo dovrà presto coprire data di fidanzamento e iniziali sull’avambraccio. 
Non giustifico, dal canto mio, neanche chi eccede con i nomi dei figli (che si sa, almeno quelli sono per sempre) o con altri amori passati che in teoria dovrebbero essere pure eterni. Ma chissà poi se i defunti potessero parlare! Insomma, dicono in molti “mi piace il tatuaggio” solo perché sarebbe strano in una società quasi globalmente tatuata, non trovarlo affascinante. Se poi non si ha la minima idea del perché lo si è fatto, pazienza. Tanto ormai la maggior parte delle persone fa le cose a caso. E anche se questo comporta imprimersi per sempre una lavatrice, una racchetta, una scritta in aramaico (che molti non sanno neanche cosa sia) o il nome dell’ex marito sul corpo, poco male. Lo esige la moda, lo esige la società. Adesso scopro anche, documentandomi sul web, che esistono particolari categorie di fotomodelli tutti tatuati che sfoggiano scritte in lingue asiatiche delle quali ignorano finanche le origini. E vogliamo parlare dei versetti della Bibbia? Per esperienza so che la maggior parte dei credenti non ha mai aperto in vita sua uno soltanto dei 73 libri messi a disposizione dalla propria fede. Però guarda caso, come gli aforismi tratti da autori della letteratura mai letti, così anche il versetto del Vangelo viene tatuato sul corpo attribuendogli un grande valore spirituale. Mi torna in mente anche la considerazione di un amico che appena conosciuto mi disse: “Ho pensato di tatuarmi su una spalla quella croce egiziana, sai quella…”
“Ah, certamente. L’ankh”.
“Eh, non so. Quella che sul vertice ha un cerchio”.
“Sì, l’ankh”, insisto già vagamente spazientita.
“Vabbè, si quella”.
“Ah, e come mai vorresti tatuarti un’ankh sul corpo? Per ciò che simboleggia?”
“No, voleva in realtà farlo la mia ex. E così sai, per ricordarmi di lei ho pensato di farlo io”.

In definitiva, senza che mi dilunghi con mille altri esempi che vanno dagli indiani d’America alle tribù della Nuova Zelanda (tribù, appunto) concluderei dicendo che ognuno è libero di fare ciò che vuole. Compreso tatuarsi la lista della spesa sulla schiena come nel film “Memento”. Che si sappia, però, almeno ciò che davvero si intende comunicare, facendo anche un minimo (dico un minimo) di approfondimento sul simbolo, lingua o versetto di riferimento. Quanto meno, se qualcuno ve lo chiede, non vi limiterete a dire : “Mi piacciono i tatuaggi” oppure “Ha un grande significato per me”.

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